Surfin' - 8
Data: 28/03/2018,
Categorie:
Etero
Autore: Browserfast, Fonte: EroticiRacconti
... che vorresti non finisse mai, mai. Mi ha guidata solo l'istinto o, se volete, l’incoscienza. Il primo pensiero, il primo gesto consapevole che ho fatto dopo averlo finito, è stato appunto quello di fargli vedere come il suo biancomangiare galleggiasse sopra la mia lingua. Richiudere, sorridere e buttare giù il succo di uomo. Lo vedi quanto sono "salope"? Perché non me lo dici ancora?
Il bocchino perfetto, se non fosse stato per il tempo tiranno sarebbe stato il bocchino perfetto. Dopo il quale ti domandi, guardando la sua faccia stravolta allo stesso modo di quella di tanti altri prima di lui, come sia possibile che non si renda conto che nei pochi minuti in cui siamo stati qui dentro sono stata io la sua padrona, la padrona di questo capanno semibuio, della spiaggia, dell'isola, del mondo intero. Di rado i maschi lo capiscono, e Patrick non fa eccezione, preferiscono illudersi di averti soggiogata, di averti imposto e dettato le loro voglie.
Adesso sì, semmai, adesso sì che dovrebbe farmi vedere chi comanda, usarmi. Adesso che la fica mi pulsa e ho quasi bisogno di essere stuprata. Sì, esatto, proprio così. Ho bisogno che la mia vagina si stringa attorno al suo cazzo per venirne sconfitta, picchiata, allargata. Ho bisogno di qualcosa di selvaggio, di essere retrocessa a oggetto di piacere. Lo imploro - “ti prego scopami” - strusciandomi il suo affare ormai quasi morbido sulla guancia. Lo so da sola che è un pio desiderio, eppure devo dirlo, lui deve ...
... sapere che sarei pronta a soddisfare qualunque richiesta. Se non posso esaudire i miei desideri devo almeno esprimerli. "Faccio tutto quello che vuoi", sussurro. Ho il costume inzuppato. Lo sento, se inspirassi a fondo potrei anche percepire il mio odore, mi basterebbe così poco per godere. Lui invece mi fa alzare, forse sa di non averne più per un po’ oppure, verosimilmente, pensa che sia pericoloso, che siamo rimasti chiusi qui dentro sin troppo. Mi fa cenno di uscire e, mentre afferro la maniglia della porta, mi da una pacca sul sedere che ingigantisce il rimpianto di non potere essere giustiziata qui, sul posto, come merito.
Esco alla luce, appena gli occhi si abituano vedo che intorno non c’è nessuno, tranne la ragazza tedesca che sente il rumore, si gira, mi osserva immobile. Faccio qualche passo verso di lei, finché non avverto alle mie spalle Patrick che esce a sua volta dal capanno. Gli occhi della ragazza passano da me a lui e poi ancora a me. So che ha capito, e se non ha proprio capito so cosa immagina. Per darle una conferma mi lecco un angolo della bocca, le sorrido sfrontata, oscena. Ma al contrario di lei sono consapevole di esserlo, voglio esserlo. E’ la mia vendetta per tutte le volte che ha ostentatamente ignorato i miei sguardi. Lei arrossisce diventando di brace, respira pesantemente un paio di volte e il suo grosso seno si muove sotto la maglietta. Dio che figa, mi dico. E mi dico anche che devo cambiarmi un’altra volta il costume.
CONTINUA