Il farmacista
Data: 07/02/2018,
Categorie:
Etero
Autore: Nepenthes, Fonte: Annunci69
Erano secoli che non mi recavo in chiesa per una cerimonia. Nelle chiese ci vado spesso come esperta d’arte, raramente per presenziare a qualche cerimonia, mai per pregare.
Ero elegantissima, un paio di mutandine invisibili sotto un tailleur nero. Le scarpe col tacco alto limitavano un pò la velocità del mio passo, non certo la mia andatura. La chiesa in questione non dista molto dal mio appartamento, motivo per cui decisi di andarci a piedi, per evitare i soliti cat calling scelsi un percorso alternativo, mai fatto prima, tra piccole viuzze secondarie. Ero in anticipo, me la stavo prendendo comoda. Nei pressi della chiesa scorsi una piccola farmacia antica, mai notata prima, sui mobili di noce scuro, sulle pesanti mensole tarlate, decine, forse centinaia, vasi di vetro perfettamente allineati, trasparivano il loro contenuto di foglie, di semi, di piante secche, di radici, di peni di qualche strano animale e chissà che altra diavoleria. Su ogni barattolo o vaso o bottiglia, c’era un biglietto di carta ingiallita applicato con dello scotch, che indicava il nome del contenuto. Avevo una mezz’ora di tempo e decisi di perderla lì. Spinsi la vecchia porta in legno e vetri liberty colorati, sui quali si poteva leggere “Erboristeria Panacea” - un nome, un programma - sorridendo tra me e me per l’ingenuità di quella capziosa lusinga. Non c’erano campanelli ad avvisare del mio ingresso. Nessuno dietro il bancone. Sul piano in onice verde, altri barattoli di vetro, alcuni ...
... trasparenti, alcuni ambrati. Alcuni chiusi, altri lasciati aperti. Ad uno di questi ultimi mi avvicinai, incuriosita, approfittando della mia solitudine, per annusarne il contenuto. Il profumo era piuttosto inebriante, così decisi, incautamente, di saggiarne la fragranza immergendo l’estremità delle mie dita in quelle che sembravano piccole foglie macinate. Ne raccolsi un pizzico e me lo portai alle narici, poi tirai fuori la punta della lingua per captarne il sapore.
- “Si fermi!”
Venni ammonita perentoriamente da una voce stridula che arrivava da dietro gli scaffali.
Apparve una specie di pera con gli occhi da bovino, con l’andatura lenta e impacciata, a tratti barcollante, reggendosi a sporadici appoggi occasionali.
- “Non vede cosa c’è scritto lì?” Indicò il barattolo a cui avevo attinto il contenuto.
- “Mi scusi! - Replicai imbarazzatissima - Non volevo!”
- “Digitalia Purpurea, c’è scritto, Digitalia! E su questo cosa c’è scritto?”
- “Belladonna!”
- “Esatto! Lo sa cosa sono?… No eh?… Evidentemente lei non è una Janara!” Disse con un sorrisetto ironico. Poi aggiunse assertivamente:- “Venga nel retro, si lavi subito le mani!”
Non potendo farne a meno, lo seguii nel retro.
Dietro le quinte, quel posto, era ancora più affascinante: - “Mamma mia!” Esclamai, alla vista di quegli antichi scaffali pieni di vasi, libri impolverati, fornelletti e ampolle di vario genere. Un tavolo da lavoro pieno di oggetti a me sconosciuti e ampolle con liquidi colorati unite ...