1. Occhi stanchi


    Data: 31/10/2020, Categorie: Etero Autore: Idraulico1999, Fonte: RaccontiMilu

    Sul conto inconfutabile e sul pregio indiscusso della gentile e leggiadra Clelia sapevo pressappoco tutto. Lei essendo fioca, smunta e sommessa durante il tempo in cui la si osservava, però al tempo stesso disponibile, elastica e sciolta io la squadravo assiduamente ogni mattina, mentre s’incanalava al lavoro a piedi attraverso il sottopasso della ferrovia, impugnando l’indistinta borsa stipata di carteggi, infagottata nel paltò di due taglie più ampio, che le copriva con grossolanità e con sgarbatezza un corpo curvilineo e levigato, così come le sue labbra pienotte e armoniose. All’interno del bar, rintanato fra le pagine del rotocalco che sfogliavo, m’incantavo di frequente nel fissare il suo lineamento irriguardoso e a tratti vezzoso, mentre addentava l’abituale cornetto, ambendo lo zucchero che ogni mattina, come un bacio angelico e clandestino, si posava costantemente sullo stesso lato del viso. Padroneggiavo altresì a mente ogni minuzia della sua logora e vetusta autovettura arrugginita dal tempo, che lasciata in sosta per settimane nello stesso posto, ripartiva solamente a seguito d’incalcolabili manovre d’accensione, tutte peraltro abbellite da linguaggi e vocaboli sboccati e scurrili per nulla femminili, accompagnata in conclusione dalla scontata e sicura grattata finale del cambio in prima marcia.
    
    Io la vedevo quando rientrava a casa stanca la sera, cercando alleviamento e consolazione tra un latte macchiato e una sigaretta sul poggiolo del retro, oppure ...
    ... seduta davanti al computer con le cuffie in testa affaccendata a scrivere per ore, nessuno lo sa, che cosa. Io l’accompagnavo con lo sguardo mentre andava a letto, infilandosi assonnata e da sola sotto lenzuola di cotone azzurro con indosso, perfino d’inverno, unicamente un paio di boxer, chissà perché. Quando potevo, la squadravo assopita avvinghiata al guanciale, in verità lo stesso sul quale io una volta, di nascosto, ero riuscito a posare un bacio immaginando che fosse lei. Talvolta, seduto sulla mia poltrona di pelle, sformavo dissipando il concetto del tempo cullandola con lo sguardo, finché i baci dell’albeggiare non la destavano per me, manifestamente amorevole ed esplicitamente attaccabile nel risveglio innocente, tempestiva a ricoprire i panni di un’abile guerriera disposta a tutto.
    
    Nessuno, invero, la conosceva né aveva dimestichezza meglio di me, questo ero certo, malgrado ciò mi mancava la sua parola, il suo sguardo perso nel mio, la carezzevole e vellutata presenza della sua pelle sotto le dita. La conoscevo, ciò nonostante non le avevo mai riferito niente, non l’avevo giammai frequentata né l’avevo mai toccata, in realtà astratta, celestiale e inabbordabile, faceva curiosamente e in modo assai bizzarro parte di me pur non appartenendomi. Io non potevo vivere senza di lei, le giornate lavorative quando non potevo o non riuscivo a vederla, s’allungavano riempiendomi inverosimilmente l’anima d’un malumore e d’una mestizia che mi sopraffaceva il cuore in moltissime ...
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