Crescere insieme
Data: 05/09/2019,
Categorie:
Etero
Autore: geniodirazza, Fonte: Annunci69
Ci sono, nel paesaggio italiano, soprattutto lungo la parte più interna dell’Appennino e a partire da Roma verso il Sud, alcuni paesini, ai quali un recente interesse per i borghi ai fini del turismo interno ha dato molto rilievo; questi stessi alcuni decenni fa (addirittura, per alcuni si arriva all’altro ieri) erano una realtà fuori da ogni rotta della civiltà industriale, chiusi in una dimensione tradizionale che impediva qualunque varco al nuovo.
In uno di questo sono nata e vissuta, sino a quando l’emigrazione in una metropoli industriale del Nord mi ha fatto piombare all’improvviso in una realtà del tutto sconosciuta, lontana dai costumi atavici e di difficilissimo impatto per chi, come me, aveva vissuto in una sorta di limbo ‘diverso’ ed estraneo alla vita di città.
L’occasione era stata l’assunzione in una banca della metropoli di quello che era diventato mio marito; abbastanza diffusamente, era quello uno dei percorsi obbligati per uscire dalla morsa del mondo contadino e pastorale in cui ero stata cullata fino alla maggiore età (ventuno anni, all’epoca).
Il matrimonio era stato, in qualche modo, deciso da quando ero bambina (otto o nove ani) e si era cominciato a parlare di Mauro come del mio futuro sposo; per una sorta di atavica rassegnazione fatalistica, la convinzione si era trascinata fino al momento di dire il fatidico ‘si’ senza che mi fossi quasi resa di quello che mi stava avvenendo.
Ero arrivata al matrimonio Immacolata, di nome e di fatto, ...
... perché niente era consentito, al tempo, ai giovani del paese vincolati alla terra che mio padre coltivava con stentati esiti, che gli consentivano a malapena di sostenere la famiglia al limite di una povertà autentica.
Come la maggior parte dei miei coetanei, mi ero messa d’impegno a studiare ed avevo compiuto il percorso che, dopo le elementari e le medie, mi aveva portato al’istituto per ragionieri, l’unico disponibile ad una distanza praticabile per una ragazzina di tredici anni; il brillante risultato ottenuto non mi aveva consentito di trovare uno straccio di occupazione e la soluzione era rimasta il matrimonio, insieme all’emigrazione.
Qualcuno riusciva a ‘scappare’ dalla condizione atavica di emarginazione, con una grande volontà, ma soprattutto con il sostegno della famiglia più abbiente; Giancarlo era più ‘vecchio’ di me di alcuni anni (andava per i ventiquattro quando, a ventuno, io mi sposai); dopo le medie, si sobbarcò all’onere di prendere l’unica corriera che collegava il paese con la cittadina più vicina - partenza alle sei di mattina, quale che fosse il clima; rientro alle sei di sera, corsa unica - per frequentare il Liceo.
La sua ‘emigrazione’ fu meno dolorosa perché andò immediatamente all’Università, nella metropoli del nord che avrei poi raggiunto anche io, ospite di lontani e dimenticati zii, emigrati alla fine dell’Ottocento; da quel che raccontava il parroco, si era dato molto da fare, lavorando mentre studiava, e si era brillantemente laureato ...