Una partita a tennis (a nuclear error)
Data: 27/05/2019,
Categorie:
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Erotici Racconti,
Sesso di Gruppo
Autore: Capitan_America, Fonte: RaccontiMilu
Sono entrata in casa, ho appoggiato le chiavi sul mobile dell’ingresso e mi sono tolta le scarpe. Ho buttato la borsa in un angolo prima di posare la spesa in cucina. Stavo per entrare in camera a cambiarmi i vestiti, ma una volta in corridoio sono rimasta paralizzata di fronte alla porta aperta. Una scarica di rabbia incontrollata mi ha attraversato il cervello impedendomi di pensare per alcuni lunghissimi secondi. Le parole delle persone con cui avevo parlato nell’arco della giornata si ripetevano alla rinfusa nella mia testa. In alcuni casi sembravano assumere un significato nuovo a cui non avevo fatto caso fino a quel momento. Sono rimasta a fissare nel vuoto senza quasi respirare, poi mi sono diretta verso il salotto. Ho aperto il vestito, mi sono sfilata il reggiseno, le calze e le mutandine. Mi sono seduta sul divano e ho acceso il televisore.
Buon pomeriggio
Sapevo esattamente cosa aspettarmi per i successivi quarant’anni. Nei minimi dettagli. Il panico stava amplificando le scariche di rabbia continue. Speravo che la banalità dei programmi pomeridiani potesse soffocare i miei pensieri, spesso funzionava. Ho tolto l’audio e ho appoggiato il palmo di una mano sul tavolino di vetro davanti a me. Continuavo a trascinare il palmo sudato della mano aperta sulla superficie liscia del tavolino, producendo un suono simile a quello degli pneumatici di un’auto che inchioda all’improvviso bloccando le ruote.
– Ciao, andiamo a scopare? C. A. – – Non so…conosciamoci ...
... meglio, prima. Vuoi? C.–
Mi mette sempre a disagio entrare nel portone di un palazzo in città. Non ci sono più abituato. Non faccio che guardarmi intorno come se fossi Alice nel Paese delle Meraviglie: l’ascensore non ha la porta, tra i cognomi sui campanelli non c’è quello che cerco, le scale nell’androne portano in due direzioni opposte e non so quale prendere. Per non dare l’impressione di essere spaesato imbocco la prima che trovo, senza pensare, anche quando conosco la strada. Sono uscito dall’ascensore ancora con la sensazione di smarrimento. Un campanello senza nome sulla targhetta. Ho suonato tenendo il dito sul pulsante finché qualcuno non è venuto ad aprire. “Sei il solito coglione.” “Lo so, è che mi piace sentirmelo dire”. Ho chiuso la porta alle mie spalle. Da una delle stanze provenivano i gemiti di una donna accompagnati dal suono di sculacciate. Sulla parete davanti a me, il viso di Hel con gli occhi chiusi sovrastava la città di Metropolis. Rossetto rosso fuoco su un alone blu scuro. Con una vernice verde chiaro avevano aggiunto la scritta: “INVISIBLE REALITY”. Una donna su tacchi altissimi e surreali è uscita da una stanza per entrare in un’altra, aveva addosso solo una maschera di lattice e un corsetto nero. Mi è passata di fianco mentre seguivo Pasticcina in una delle camere superando una montagna di preservativi colorati, ammucchiati come cioccolatini per gli ospiti sopra un carrello portavivande. Di fianco, oggetti di vario tipo: plug, frustini di cuoio, ...