1. Il telecomando


    Data: 24/11/2018, Categorie: Lesbo Autore: Blacknoble, Fonte: Annunci69

    ... minuti mentre ci accarezzavamo guardandoci e baciandoci. Poi, la sua lingua scese sui miei capezzoli mentre la sua mano si infilava nella mia figa cosi entusiasta da versare lacrime di piacere. Invasa da tremori, sentivo la punta della sua lingua girare attorno al capezzolo mentre le sue dita scivolavano tra i miei umori. Venni quasi subito mentre Serena intensificava il movimento sia della sua lingua che delle dita per spingermi al massimo. Rimasi cosi, tremante, con la sensazione di lei ancora dentro me, e per parecchi minuti, continuai ad avere orgasmi mentre lei andò a versarsi un po’ di caffè. Quando tornò, la adagiai esattamente così com’ero io prima. E pressappoco nello stesso modo, la feci arrivare.
    
    Dopo un po’, eravamo sdraiate al contrario. Le nostre teste, infilate tra le nostre gambe, le nostre lingue, nelle nostre
    
    intimità. Ci procuravamo lo stesso piacere. Allo stesso modo. I ritmi delle nostre lingue sui nostri clitoridi erano uguali, la pressione anche. Era come baciare una lingua. Ogni bacio, un sussulto, quasi sussurro, promessa di piacere, di bene. Venimmo insieme.
    
    “Dai vai!”. Era Serena che mi spronava ad andare al lavoro. Avevo fatto tardi. Non avevamo un’auto. E con i mezzi a Napoli, bisognava muoversi con largo anticipo. Ma avevo perso quel margine e dovevo solo sperare che il pullman passasse in orario.
    
    “Ciao amò”. E le stampai un bacio in bocca cercando di abbracciarla ancora.
    
    “Corri!” Disse respingendomi.
    
    Arrivai al lavoro ...
    ... fortunatamente in orario.
    
    “Marilena vuoi venire qui un attimo?”. Era Roberto. Il mio capo. Un uomo sulla cinquantina. Difficile da descrivere. Diciamo che probabilmente, se fosse nato in condizioni diverse, sarebbe stato onesto.
    
    “Guarda qua! Vuoi spiegare a stu sciem e Mustafa che o man via se continua a lava stu cess accussì!! Manco in Africa! E che cazz!!”
    
    Aveva aperto la porta del bagno e mi mostrava delle macchioline sul muro a destra. A parte ciò, il resto, era splendente.
    
    Lo guardai reprimendomi.
    
    Il povero Mustafa veniva dal Marocco ed aveva oltre settant’anni. In Italia da trenta, sopravviveva facendo il parcheggiatore fuori al bar e vendeva sigarette di contrabbando.
    
    Il mio capo gli faceva fare i bagni, lavare e tenere fuori tutta la parte esterna del bar. In compenso, gli dava … dieci euro al giorno. Mustafa doveva tornare a pulire il bagno in pratica ogni ora, dalla mattina quando aprivamo a quando chiudevamo. Lui la prendeva con filosofia e sempre con un sorriso. Ma il nostro capo era ciò che si può definire un vero schiavista oltre che un despota. Per non dire stronzo.
    
    La sua allusione all’Africa mi offendeva. Ero più nera di Mustafa, e ciò era chiaro indice della mia provenienza. Il tatto però, non è acquistabile. Nemmeno la classe. O semplicemente, l’empatia. Non è un fatto di soldi ma di persone. Stavo per rispondere a Roberto quando il mio cellulare squillò in tasca. Sapevo che era Serena. Pur non rispondendole, mi quietò questa sua telefonata. Per ...
«1234...8»