1. Deborah


    Data: 27/09/2023, Categorie: Etero Autore: Ukiyo, Fonte: RaccontiMilu

    DEBORAH Deborah aprì gli occhi nel buio della sua stanza. L’oscurità era interrotta solo dalle fessure in cima ai vecchi balconi che, negli anni, avevano perso lustro e compattezza agli elementi. Succedeva spesso in quella città di laguna. La ragazza gettò uno sguardo alla sveglia. Mancavano due minuti all’ una, l’ora a cui questa avrebbe dovuto suonare, naturalmente con il volume al minimo. Decise di disattivarla. Quindi restò a guardare il soffitto, in cui il bianco dell’intonaco si alternava alle travi di legno scure. Come previsto, non era riuscita a dormire dall’eccitazione. Come una ragazzina prima del ballo delle debuttanti, o una fidanzata prima delle nozze. Certo l’occasione non era così solenne, ma l’attesa restava febbrile. Quelle parole le fecero salire un sorriso malizioso sulle labbra piene. Sapeva che quella notte sarebbe stata un po’ una debuttante, ma in un contesto molto diverso da quello di altisonante rispettabilità che quell’immagine suggeriva. Sì, avrebbe squarciato quell’immagine di rispettabilità come una tela bianca. Perché quella stessa tela poi nella sua mente si divideva in mille fibre, e queste andavano a formare quella corda invisibile che sentiva attorno al collo. Debuttante. Matrimonio. Si alzò dal letto con uno scatto rabbioso, e raggiunse l’armadio a quattro ante. Avrebbe potuto utilizzare la torcia dello smartphone, ma decise che invece no, era decisamente meglio rinunciare alla vista per poter acuire gli altri sensi, e dunque il corpo. ...
    ... Chiuse gli occhi e aprì la porta alla sua sinistra. Conosceva la geografia dei suoi vestiti a menadito, in particolare quel vestito. Il vestito da puttana lo chiamava. Aprì la scatola grande in fondo all’armadio, vi frugò brevemente. Lo rinvenne in fondo. Le dita avevano individuato im-mediatamente la texture liscia ed elasticizzata. Afferrò il vestito e lo indossò. Ecco, ora iniziava a sentirsi diversa. La corda immaginaria iniziava ad allentare la sua presa. Chiuse ancora gli occhi, fece passare la punta delle dita sui seni quasi schiacciati dal tessuto nero aderente, e poi più giù ad accarezzare i fianchi perfettamente fasciati fino ad appena sotto i glutei. Ma sapeva che non avrebbe potuto uscire così. Amava l’avventura, ma non l’azzardo. Se un rabbino insonne, o anche solo un amico del padre l’avesse vista girare così per il ghetto, sarebbe stata finita. La sua famiglia l’avrebbe diseredata, probabilmente. Di sicuro sarebbe stata marchiata con il marchio dell’infamia Nulla, tantomeno una figlia ribelle avrebbe potuto infangare l’immagine del clan Levin agli occhi della comunità. Deborah non poteva permettere che una leggerezza distruggesse la libertà che si stava scavando con le proprie mani. Così si avvicinò alla sedia e indossò il vestito di lino nero estremamente sobrio e lungo ben al di sotto del ginocchio, che aveva lasciato lì prima di coricarsi. Un travestimento sul travestimento, pensò beffarda. Decise che non avrebbe portato con sé il cellulare. Così, se i genitori ...
«1234...»