1. Il prato in città


    Data: 28/06/2018, Categorie: Trans Autore: Marta-trav, Fonte: Annunci69

    ... ha turbato profondamente. Tutte le sere, nel mio letto, sono tornato a pensarci. Con un’unica certezza. Quale? Sabato prossimo mi sarei tenuto a sufficiente distanza da quella fermata dell’autobus.
    
    E così è stato.
    
    Solo che la “sufficiente” distanza da quella fermata si è ridotta ad una ventina di metri.
    
    E’ sabato pomeriggio. Sono le quattro e mezza. Mi trovo parzialmente nascosto dietro una macchina in sosta ed ho la visuale libera verso la fermata dell’autobus.
    
    Ho faticato molto a definire, con esattezza, il tipo di sentimento suscitato in me dall’incontro sull’autobus della domenica precedente. Paura? Vergogna? Eccitazione? Forse un po’ tutto questo e tanto altro ancora.
    
    Ho anche pensato che quelli come me potessero, in qualche modo, far trasparire le proprie debolezze. Ed, anche in questo caso, non sono sicuro se “debolezza” sia la parola giusta. Sarebbe meglio dire “malattia”?
    
    Purtroppo siamo ancora nel 1988. Non c’è ancora internet, non c’è ancora condivisione.
    
    Soltanto qualche anno dopo avrei scoperto che quella che allora definivo “debolezza” o “malattia” è, in realtà, una condizione che mi accomuna a tantissime altre persone del mio stesso sesso, giovani e, soprattutto, meno giovani. Una condizione con la quale, inevitabilmente, bisogna confrontarsi, bisogna farci i conti e, soprattutto, bisogna accettarla. Non esiste altra soluzione. Accettarla.
    
    Ma è mai possibile che questa condizione (che però, allora, ancora definivo debolezza o malattia) ...
    ... possa trasparire ed essere percepita da qualcuno? No, impossibile.
    
    Ed allora perché quel signore si è rivolto proprio a me, come se, in qualche modo, sapesse già che il suo comportamento avrebbe avuto in me l’effetto che, poi, ha realmente avuto?
    
    Assorto da questi pensieri e da tutti gli altri che mi hanno accompagnato nel corso della settimana non mi sono neppure accorto che, nel frattempo, si sono fatte le cinque meno cinque e che il signore, proprio quel signore, è in piedi, in attesa, alla fermata dell’autobus, vestito nello stesso identico modo della domenica precedente e con in mano lo stesso sacchetto di nylon giallo.
    
    Non mi sembra nervoso, non guarda l’orologio, non si guarda intorno. Sta lì, in piedi, in attesa. Come se sapesse che la sua pazienza sarebbe stata ripagata.
    
    Lo osservo. Per un attimo sparisce dalla mia visuale poiché coperto dall’arrivo di un autobus. Proprio quello della stessa linea sulla quale ci siamo incrociati sei giorni fa. Lo prenderà? Spero di si…spero di no!
    
    L’autobus riparte e mi restituisce la visuale completa della fermata. L’uomo è ancora lì, sempre in attesa.
    
    Cosa faccio? Sono sei giorni che ci penso. Mi sono fatto mille domande e non mi sono dato nessuna risposta. I miei, in più occasioni, mi hanno chiesto se tutto andasse bene. Non sono riuscito a nascondere più di tanto il mio nervosismo.
    
    Dunque, cosa faccio? So perfettamente cosa devo fare. L’ho deciso quando, tre ore fa, a casa, mi sono fatto una doccia, mi sono ...
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