1. Blade: riforgiatura


    Data: 03/01/2020, Categorie: Etero Autore: Rebis, Fonte: RaccontiMilu

    ... adiacente lo spiazzo, ignorando il freddo e il dolore. Lo shock termico mi travolse. Dovevo tenere duro. Ma non avevo calcolato quanto fossero abili gli arceri della Mano. Il dolore fu improvviso, lancinante. Mi strappò un grido. La freccia mi era arrivata dritta nella schiena, trapassando il giubbotto in kevlar. Feci per strapparmela ma improvvisamente il fiume mutò, divenendo una cascata. Sentii un dolore atroce, poi il nulla mi inghiottì. Il mio ultimo pensiero fu paradossalmente che presto avrei incontrato personalmente Wolverine. Il dolore per molti é una cappa opprimente, il corpo intero soffre, ogni singola terminazione nervosa che urla di agonia nel vuoto, disintegrando sistematicamente concentrazione e pensiero. Per me, che ero già stato ferito in modi molto gravi, era una compagnia costante. In quel caso però non avevo calcolato che la Mano tendeva ad avvelenare le frecce. Giacqui nell’oscurità di un delirio che minacciava di inghiottirmi a ogni istante per un tempo che non seppi quantificare. Vidi esseri ghignanti ridere della loro vittoria su di me. La realtà era lontanissima. Un sogno perduto. Mormorai, gemetti, urlai mentre demoni a me ignoti si disputavano le ossa del mio spirito, la carcassa della mia essenza. L’oscurità attorno a me inviava lampi di fuoco alla mia mente e ai miei sensi. Scivolavo e riemergevo dal delirio. Lontanissime sentivo voci, dicevano cose che non capivo. Occasionalmente quello che pareva il tocco di un angelo alleviava la mia pena. Ma ...
    ... per la maggior parte del tempo, (se ancora esisteva per me una cosa come il tempo), ero immerso nel dolore. Nella sofferenza più pura.
    
    Fu dopo quella che potei definire comodamente un’eternità che ripresi i sensi. Mi ritrovai a fissare un soffitto in legno. Mi sentivo i muscoli e il corpo come ovattati, non sarei stato in grado di muovermi neppure se ne fosse andato della mia vita. Rimasi lì. A fissare il soffitto. “Dove sono? E soprattutto quanto tempo ho trascorso nell’incoscienza?”, mi chiesi. Un’esclamazione femminile in una lingua che pareva giapponese mi fece comprendere che i miei salvatori, chiunque fossero avevano appena compreso che ero sveglio. Sospirai. Se ne avessi avuto le forze mi sarei alzato. Mi sarei presentato (o difeso, se fosse stato il caso) ma ero troppo, semplicemente troppo stanco. Il suono di passi sul pavimento di legno mi permise di dare una direzione alla mia attenzione. Girai la testa con quello che mi parve uno sforzo erculeo. Una giovane di chiare origini giapponesi avvolta in una veste tradizionale mi fissava, assolutamente calma. Accanto a lei c’era un uomo, avvolto anche lui in vesti tipicamente nipponiche. Solo il viso era coperto. Da una maschera. Una maschera che rappresentava dei connotati da demone. Un Tengu della mitologia nipponica, temibile e sicuramente inquietante. -Quanto tempo?-, chiesi in inglese attraverso una bocca asciutta come il Sahara e corde vocali atrofizzate. -Due giorni.-, disse l’uomo-demone, -Ti abbiamo trovato a ...
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