L'amore e la violenza - prologo
Data: 22/07/2024,
Categorie:
Gay / Bisex
Autore: HegelStrikesBack, Fonte: Annunci69
... dolore o urlare eccessivamente. Il rituale era quello, sempre e comunque. Mi tirava con vigore la coda, per farmi inarcare meglio la schiena. Tenevo i capelli lunghi apposta. Dio se sapeva eccitarmi quell’uomo. Nessuno mai era riuscito a farmi godere così, come lui, nemmeno le più folli depravazioni a cui mi sottoponevo dapprima per compiacerlo e poi per vizio personale, riuscivano a farmi sentire bestialmente sua proprietà come la più semplice delle scopate in riva al mare. La sua resistenza era diventata una sfida personale.
Dovevo farlo cedere, meno durava e più era una mia vittoria personale. Mi sfiancava, non avevo nemmeno più la forza di reggermi in piedi dopo certe monte. Eppure per me non c’era nulla di più bello. Mi girava e rigirava come un cuscino nelle posizioni che più lo facevano godere e di conseguenza facevano godere me, che godevo del suo godere. Ogni sua espressione di piacere, ogni smorfia, ogni gemito, ogni sua goccia di sudore erano per me un trofeo, una medaglia al valore fornicatorio, una giustificazione alla mia presenza nella sua vita.
Poi dopo 45 minuti, un’ora? Chi può dirlo quanto durasse una sua performance? Dopo quel tempo indefinito veniva. Lo sentivo prima quando stava arrivando, giacchè i colpi si facevano più distanziati ma secchi, brutali. Sentivo il suo cazzo arrivarmi quasi in gola e poi quei fiotti caldi riempirmi le interiora e farmi ogni volta più sua, piantando dentro di me il suo seme e facendo germogliare ogni giorno di più il ...
... mio amore per lui.
Qualche volta durante l’orgasmo mi sferrava un pugno sulla schiena, mi faceva male ma non glielo facevo pesare, era una sua perdita di controllo e non una violenza gratuita. Poi ci accasciavamo sulla sabbia, abbracciati, io ancora col culo al vento che perdeva liquido seminale e ci lasciavamo andare ad una risata, una risata liberatoria. Mi passava una mano tra i capelli, mentre mi accendevo una Gauloises, mi diceva che ero l’unica cosa buona della sua vita, la più preziosa di tutte. Mi diceva che mi avrebbe portato via, magari in un paese di quelli dove avremmo potuto girare mano nella mano senza dover temere il giudizio di nessuno.
“In America!” proponevo sognante io, che in America non ci ero mai andato, ma che già ci immaginavo su una Corvette rossa sulla Sunset Boulevard mano nella mano andare incontro al tramonto più grande che avessimo mai visto.
“Ti porto dove vuoi, vita mia. Fammi finire il mio lavoro e ti porto dove vuoi.”
Un gelato al volo alla rotonda di Morea Lido e via, tornavamo verso Notori, io abbarbicato dietro sul sellino di quella motocicletta infernale, stremato e abbracciato forte all’uomo che amavo e per cui, se avessi potuto, se fosse servito, avrei dato la vita.
Quando arrivammo in commissariato, mi portarono nella sala degli interrogatori. Anche se, vista così, sembrava più una sala operatoria. Dentro mi aspettava già mio fratello Nicola, lo aveva chiamato la Betty, mentre io attraversavo la città.
Nicola era mio ...