Tormenta sull’autostrada
Data: 29/12/2021,
Categorie:
Etero
Sesso di Gruppo
Autore: Zorrogatto, Fonte: RaccontiMilu
... temperatura è scesa a meno nove virgola due! No! Solo quella cabina di tir mi può salvare… ed alla svelta, prima che altri abbiano la mia stessa idea! Valuto il mio abbigliamento: decisamente poco adatto a quel clima polare, ma in fondo son solo una decina di metri! Indosso già il parka: rialzo il cappuccio bordato di pelliccetta sulla testa e contemplo con autocommiserazione le scarpe con le quali dovrò affrontare dieci metri di neve ghiacciata: le mie decolté con tacco a spillo sono quasi più inadatte di un paio di infradito! Mi metto la borsetta a tracolla e mi incoraggio: tiro la levetta d’apertura e spingo la portiera; si apre di forse trenta centimetri, frusciando col bordo inferiore sulla neve, mentre il gelo si impadronisce del mio ancora tiepido abitacolo! Occazzo! Vorrei rinunciare e richiudere, ma la portiera è bloccata. Mi incoraggio: sprofondo il piede nella neve, mi alzo dal sedile e spingo con la spalla; si apre abbastanza da lasciarmi sgusciare fuori -fortuna che sono snella!- mentre il vento mi sbatacchia e i fiocchi di neve gelata mi crepitano sul parka come pallini da caccia. Riesco fortunosamente a richiudere la portiera e mi avvio, con le gambe che mi bruciano dal freddo e dalla mitragliata della neve. Incespicando, quasi accecata dalla tormenta che adesso limita la visuale a forse cinque metri, mi avventuro: l’auto dietro la mia è piena, ci sono quattro tizi con l’aria torva e comunque non era quella la mia destinazione. Ormai ...
... gelata, arrivo accanto alla cabina del tir e picchio con la mano sulla portiera; intuisco dei movimenti dietro al finestrino gelato e poi la portiera si apre ed una manona pelosa si protende, a cercare la mia. Sarebbe stato impossibile salire fin là sopra da sola, ma anche con l’aiuto del camionista son stati lunghi, pietosi momenti. Il tepore della cabina è quasi ubriacante; riprendo fiato qualche minuto e poi realizzo che sono, in pratica, a pancia sotto, sulle cosce del camionista, come se dovessi essere sculacciata… Lo guardo: parecchi fili bianchi tra i capelli corti, qualche pelo bianco sulle guance non rasate da giorni, grassoccio ma con un sorriso, appena accennato, benevolo. Lo ringrazio, e lui risponde… in un’altra lingua, sconosciuta. Poi ride e mostra una bella dentatura; indica sé stesso e dice solo «Jamal, Turkie» Occavolo: proprio un turco! E va beh, chissenefrega! Con quella cabina calda può venire anche da Marte! Poi indica l’occupante dell’altro sedile (e chi lo aveva visto?) e dice: «Ahmed», mentre gli da un affettuoso buffetto. Guardo l’altro, un giovanotto e noto una vaga rassomiglianza col camionista; chiedo «tuo figlio?» e sorrido, cercando di aiutarmi con la mimica. Lui ride, tutto contento che ho capito e annuisce. Mi indico: «Mara!» Sorride, confortato dall’aver superato lo scoglio delle presentazioni, prende una fiaschetta e versa in un bicchiere di plastica un liquore trasparente; ho un attimo di esitazione (“Mi vogliono far ubriacare per ...