1. Il camionista sovietico


    Data: 26/02/2018, Categorie: Etero Autore: Nepenthes, Fonte: Annunci69

    Bastava mettere la freccia a sinistra, ruotare appena la manopola destra e la mia Ducati, come un mustang selvatico, strappava a morsi rabbiosi, e masticava, l’asfalto dell’autostrada che si sottoponeva a lei, verso il mare. Francesca si fidava di me, si teneva ben salda ai supporti posteriori e, con le gambe, stringeva bene i fianchi di quell’indomito puledro d’acciaio.
    
    Freccia sinistra e, le automobili che, un istante prima, ingombravano la vista del paesaggio avanti ai nostri occhi, l’istante successivo scomparivano dietro di noi, come le scintille di un bastoncino luminoso dietro un bambino scalmanato. Come brutti ricordi da non ricordare.
    
    Freccia a sinistra e, la gomma posteriore si svuotò in un istante. Un istante a 180 km all’ora dura molto meno di un istante. Un istante, a 180 km all’ora, in corsia di sorpasso, con le automobili indemoniate alle spalle e un Guard Rail d’acciaio al tuo fianco, non ti lascia neanche il tempo di pensare. Non ti lascia neanche il tempo di avere paura.
    
    Strinsi con tutta la mia forza le manopole del manubrio che sembrava in preda a un attacco epilettico. Un martello pneumatico impazzito. Gridai a Francesca di agitare le mani per avvisare gli automobilisti che ci seguivano. Pensai che sarebbe finita lì.
    
    Riuscii a tenere la moto in piedi, a raggiungere un’area di servizio e a baciare l’asfalto unto dell’autogrill. Francesca era pallida, tremava.
    
    Constatammo l’entità del danno. Una valvola difettata si era spezzata di netto, ...
    ... eravamo bloccati. Avremmo perso troppo tempo per cercare assistenza, dovevamo arrivare al mare il più presto possibile, c’era un notaio che ci aspettava, un rogito da firmare.
    
    Convenimmo che ci sarebbe servito urgentemente un passaggio.
    
    Ci sentì discutere un ragazzo che si avvicinò con un bicchiere fumante, di carta, in mano. Ci disse, o meglio, ci fece capire che ci avrebbe potuto offrire il passaggio che cercavamo se, in cambio, lo avessimo aiutato a rabboccare il radiatore rotto del suo camion, ad ogni stazione di servizio. Che quello che stava bevendo era caffè. Che era russo. Che si chiamava Andrey. Che non sapeva se avessimo mai raggiunto la costa prima di fondere il motore.
    
    Andrey era alto, bello, aveva la barba rossa e gli occhi azzurri. Una camicia di flanella a quadri, da montanaro, portata fuori dai pantaloni. Strinse la mano a Francesca e mi mise in mano un vecchio annaffiatoio di plastica verde.
    
    La cabina del camion era ampia e confortevole. Gli oggetti disposti in quel disordine di chi ci vive, in quel posto, come a casa propria. Una tenda bordeaux, alle nostre spalle, ci divideva dalla sua branda, la sua camera da letto, l’alcova di chissà quante avventure a pagamento. Chissà.
    
    Francesca si sedette tra me e lui, proprio al centro della cabina. Guardava attorno a sé, quello strano ambiente, con aria, dapprima diffidente, poi con un sorriso appena accennato che ne tradiva una certa fascinazione. Un paio di calzini usati, appallottolati e finiti in un ...
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