Soul & blues
Data: 13/06/2024,
Categorie:
Gay / Bisex
Autore: Parcifal, Fonte: Annunci69
“Baby, I’ve been here before.
I know this room, I’ve walked this floor.
I used to live alone before I knew you.
I’ve seen your flag on the marble arch,
But (listen) love is not some kind of victory march,
No, it’s a cold and it’s a very broken Hallelujah” (L. Cohen)
Il piatto vibrava, la viola panciuta segnava il ritmo, sax e clarinetto battagliavano languidamente, il violino sussurrava melanconico.
Era un improbabile quintetto ma queste dissonanze trovavano casa negli animi degli avventori del piccolo pianobar.
Una clientela rada, profani ed intenditori ammaliati da un suono così dolce da essere crudele, vero come la vita.
Ritrovo di solitudini imperfette, il locale non poteva ospitare più di una ventina di persone di cui solo alcuni erano clienti abituali.
Abituali temporanei poiché la spietatezza del vivere era mitigata da gioie repentine ed effimere, sirene mendaci promettevano il conforto di un abbraccio che non si serrava mai davvero.
Solo un uomo poteva definirsi un habitué. Alto, portamento fiero, ordinava sempre un Genever. Si sedeva in ombra, discostato dal palco finanche da se stesso, sorseggiando lentamente.
Non parlava mai, nessuna confidenza spicciola o diluvio dell’anima, si limitava ad indicare il distillato olandese, fare cenno al tavolo e diventarne lui stesso una suppellettile.
Rimaneva vivo solo lo sguardo, pudico, quasi vergognoso nel suo bisogno. Focalizzato sul quintetto, si perdeva nelle nebbie dei suoi ...
... pensieri man mano che le note diventavano balsamo, lenendo quelle ferite invisibili ma feroci che ci spezzano nello spirito.
La musica lo portava altrove, oltre il tempo e lo spazio, quando tutto era lieve, intonso. Quando ancora sognava un futuro.
Finito il concerto si alzava, con pochi gesti parsimoniosi riponeva la sedia sotto al tavolo e se ne andava. Dalle ombre della sala alle ombre della notte.
Solo. Sempre.
Ogni sera ritornava in quello che ormai considerava un santuario, gli stessi gesti, gli stessi silenzi.
Lo spartito volubile e immutabile dell’animo umano lo accoglieva, eseguito con impietosa perizia dalla band.
La musica lo animava, gli ricordava che il suo cuore batteva non solo per moto involontario e che la vita non era mero lasciarsi esistere ma insopprimibile desiderio.
Desiderio vorace di un corpo caldo a cui aggrapparsi, fame di baci, carezze, dell’estasi.
La musica batteva nelle vene, irradiando nel suo corpo, rinfocolando la brama di un contatto che scacciasse l’angoscioso vuoto che lo abitava.
Rabdomante delle solitudini altrui, ritrovava fra il pubblico chi aveva nello sguardo la stessa disperazione.
Alzava il bicchiere in un silenzioso invito, si abbandonava alla musica e se ne andava.
Solo.
Sotto i portici, nell’umidità notturna, sapeva che sebbene fugacemente avrebbe placato il bisogno dilaniante.
Si univano ai suoi altri passi, l’invito era stato colto, una figura maschile gli si affiancava. Solitudini che si ...