Io, mia moglie e i Trans
Data: 09/06/2022,
Categorie:
Dominazione / BDSM
Sesso di Gruppo
Trans
Autore: antonio-fusco, Fonte: xHamster
... queste budella che si comprimono ogni volta, quando un uomo riesce ad arrivare dalle parti del mio concetto, a sfiorare l’idea perché mi faccio scopare. Perché in amore c’è differenza ed io ne voglio sentire più di quanto il mio corpo non dica, più di quanto il suo corpo s’affanna, perché l’amore non è altro che un grido, una banale illusione che chiamano orgasmo, un sapore d’incompiuto che lascia roca la voce e placa ogni desiderio.
Mio caro, mi rendo conto quanto le mie parole possano essere vane, possano risultare insipide al cospetto di chi non ha mai creduto che l’amore fosse altro. Ma io sono ancora lì in attesa, dentro un vicolo cieco e cammino, lungo il bordo di una pallida luna, sotto una pioggia fitta di foglie che si posa leggera sul mio cappello, che all’imbrunire mi fa più bionda di qualsiasi tinta appena rifatta. Mi chiedo quanta femmina c’è sotto questi capelli e quanta ancora ne potrei ostentare al mondo, a questi uccelli notturni che mi girano attorno e mi fanno sentire più preda di qualsiasi insetto che li possa sfamare.
Tolgo il reggiseno e intravedo dentro una specchietto d’una macchina parcheggiata il mio profilo abbondante. Mi ricorda quello di mia sorella rigoglioso ed in attesa, seno di donna matura, seno di zitella. Davanti allo specchio aspettava due mani, le sole che mai vennero a toccarlo, mai a sentirne defluire il pulsare di una donna promessa, il calore intenso che a stento freddava, al cospetto del suo riflesso ubriaco d’amore, ubriaco ...
... di voglie rimasto a stagnare nel punto preciso dove erano nate, nella parte di femmina dove non arrivano mani, dove non arrivano sessi.
La spiavo tra la luce del buio mentre testarda si procurava piacere, rubava minuti alla cena mentre la sua tetta schiacciata diventava doppia e più grande contro lo specchio. Ed era un fibrillar di dita, di respiri, di vetri appannati mentre curiosa trattenevo in gola i miei fiati acerbi. La guardavo e rimanevo in attesa, come se da un momento all’altro dovesse scoppiare, urlare al mondo la gioia cercata dentro sé stessa. Mi pareva un rito, una liturgia per chieder perdono ad un cielo che io pregavo soltanto. Per anni l’ho pensata devota, ho creduto davvero che il suo seno fosse un mezzo per arrivare ad un Dio, la parte più tenera da sacrificare alla supplica. La vedevo invasata, in balia d’un movimento che non chiamavo piacere, d’un fascio di luna che si posava come maschio tra la schiena e le gambe. Posseduta si lasciava andare come se davvero il suo uomo fosse tornato a riempire il suo ventre, a spalancare quel mondo arido sino alle viscere.
Chiedeva amore scoprendo il suo seno, stringendolo a forza fino a procurarsi dolore. Lo stesso che ora sento, lo stesso che riesco a capire mentre in attesa mi faccio del male, violenza e perdono dentro un vicolo cieco a mostrare una tetta, una qualunque che mi faccia provare vergogna ed attiri uno sguardo che incredulo ringrazi il destino, per essere passato per caso proprio dove una donna cerca ...